martedì 8 maggio 2012

Visita alla mostra del Tintoretto



Ci sono due opere, all'ingresso della mostra nelle Scuderie del Quirinale, che da sole riescono a raccontare la personalità del Tintoretto e i grandi temi della sua pittura. Di fronte al visitatore appare la maestosa tela con il Miracolo di San Marco (oltre cinque metri per quattro).

  Data 1549   San Rocco risana gli appestati
          UBICAZIONE: Chiesa di San Rocco
                                Il grande telero del presbiterio venne commissionato dalla Scuola di San Rocco nel 1549 come parte del progetto di istituzione di un ospedale gestito dalla scuola e osteggiato dai Frari. Si scelse così di raffigurare il santo patrono protettore degli appestati , impegnato nella guarigione dei malati radunati in un ospedale.





 Sulla parete a destra, il piccolo Autoritratto come giovane uomo (quarantacinque centimetri per trentasei). Entrambe le opere sono datate 1548. Tintoretto ha ventinove anni. Si presenta con il volto serio, incorniciato da riccioli neri, un'ombra di barba, lo sguardo vivo, l'espressione irritata. Dalla descrizione di Carlo Ridolfi, biografo dei pittori veneti, sappiamo che era alto appena un metro e mezzo. Il suo amico commediografo Andrea Calmo lo apostrofa «granelo de pevere», per la sua facilità ad arrabbiarsi. Proprio grazie a Calmo, appena nominato decano della Scuola Grande di San Marco - una delle maggiori confraternite veneziane - Tintoretto è riuscito ad avere la sua prima commessa importante. È la sua prima opera importante ma contiene già la novità tecnica del fondo scuro, che permette all'artista una esecuzione veloce e al risparmio, e la composizione scenica allestita come una scenografia teatrale». Il capolavoro gli procura il riconoscimento di Pietro Aretino che, pur invitandolo a contemperare «la prestezza del fatto» con «la pazienza del fare», ne ammira il rilievo, gli scorci e «i colori che son carne». E quello del Vasari che, pur criticando quel modo di lavorare «a caso e senza disegno» lo definisce «il più terribile cervello che abbia avuto mai la pittura». Tintoretto era riuscito dunque a raggiungere quel che si era prefisso quando aveva appeso nel suo studio un cartiglio con il motto «il disegno di Michelangelo e il colore di Tiziano». Paolo Pino, sempre in quel 1548, aveva sentenziato nel suo «Dialogo» che chi fosse riuscito a coniugare le due abilità sarebbe diventato «il dio della pittura».
Tintoretto, come d'abitudine, prima di iniziare il lavoro si è recato a studiare il sito destinato al quadro. Ha osservato che occuperà lo spazio tra due grandi finestre e inventa quindi un gioco di controluce, in modo che i confratelli si sentano quasi proiettati al centro dell'opera stessa. «L'impaginazione - osserva Vittorio Sgarbi, che cura la mostra - è grandiosa e teatrale, con l'impianto scenografico di quinte e di colonne, archi e portali, con scene che si dilatano verso profondità rarefatte». L'artista studiava a tavolino queste composizioni, con modellini di gesso e terracotta che replicavano sculture di Michelangelo o con statuine che lui stesso plasmava in cera.
Per riconoscerne l'assetto teatrale, bisogna osservare il Miracolo da lontano. Per capire la velocità d'esecuzione, occorre invece avvicinarsi il più possibile. Concentrarsi sulla veste rossa dell'uomo di schiena, dove la muscolatura della spalla è precisata da tre rapide pennellate di lacca più scura. E poi spostare lo sguardo sul soldato alla sua destra, con il corpo chiuso in una cotta, le cui singole maglie colpite dalla luce sono rese con piccoli colpi di biacca e quelle in ombra definite raschiando con il legno del pennello la base scura per far emergere la chiarezza della tela. La preparazione del fondo è un'altra particolarità di Tintoretto, che si inventa una ricetta tutta sua: raccoglie in un calderone i colori avanzati sulla tavolozza e quelli caduti sul pavimento e li fa bollire, fino a ottenere una sostanza scura che spalma sulla tela. A questo punto gli basta disegnare su questo fondo, direttamente con il pennello, le figure, i profili delle architetture, i paesaggi.
La suggestione di questi fondi bruni si ammira in particolare nell'ultimo struggente autoritratto, dove il volto è sul punto di essere inghiottito dal buio.

 E nelle due grandi tele con Maria Egiziaca e Maria Maddalena, dove sull'accordo dei toni bruciati sono delineate la palma in primo piano, i boschi sullo sfondo, le figure minuscole delle due Marie e le acque spumose del ruscello che, guardate da vicino, anticipano addirittura le pennellate impressioniste degli stagni di Monet.



Santa Maria Egiziaca
Santa Maria Maddalena























 L'audacia degli scorci esplode nell'Ultima Cena di San Polo, restaurata per l'occasione da Cariparma.


Tintoretto - Ultima Cena
Data1556          Ultima Cena
UBICAZIONE: Chiesa di San Trovaso

Commissionato dalla scuola del Sacramento insieme alla Lavanda dei Piedi (oggi a Londra). Il dipinto raffigura il momento dell’annuncio del tradimento. Il dinamismo delle reazioni degli apostoli è accentuato dall’ardita composizione che pone il tavolo con lo spigolo verso lo spettatore con la sedia caduta e Giuda, riconoscibile per la mancanza dell’aureola, che prende il fiasco.


 Al secondo piano, ci sono sale dedicate ai ritratti, alla pittura profana, ai maestri con cui Tintoretto si è confrontato, da Tiziano a El Greco. Del maestro veneto sono esposti quaranta capolavori, con un'idea di completezza della sua opera.


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